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Pubblicato su "L'Altrapagina" del mese di aprile 2008

 

Nella Chiesa di S. Giorgio Maggiore a Reggio Emilia, fino al 4 maggio, è possibile vedere la prima grande mostra su Emilio Villa che segnerà una tappa fondamentale per la riscoperta e il giusto "posizionamento" che il mondo culturale italiano, e non solo, deve a questo personaggio ctonio della cultura del ‘900.

Il suo comportamento carsico, emergente ogni tanto alla luce del mondo culturale “ufficiale”, suo malgrado, ne ha fatto un personaggio scomodo e finanche emarginabile da quella cultura che si esprimeva in circoli chiusi e rassicuranti volti solo alla propria autolegittimazione e autogratificazione. Forse anche questi ultimi causa della distanza  che si è creata fra la cultura, vista come una cosa autoreferenziale e per pochi, e la gente.

Pochi sono stati vicini a Emilio Villa in vita e pochi ne hanno capito e riconosciuto la grandezza; altri sono stati attratti dalla sua orbita quasi loro malgrado, o perché le circostanze della vita hanno creato quei legami che vanno al di là del mero conoscersi fino ad arrivare ad un profondo ri-conoscersi nell’altro. Alchimia questa che a volte capita di sperimentare a tutti. O forse solo ai più fortunati.

Nella bellissima mostra di Reggio Emilia, a cura di Claudio Parmiggiani, suo amico in vita e sodale, vi sono opere di artisti che comparvero su “Attributi dell’arte odierna” – Feltrinelli, 1970. Di questi artisti sono esposte opere sugli altari della chiesa, e su tutti gli spazi liberi, oltre che gli scritti originali o a stampa, libri d’artista, pezzi unici ed edizioni ormai introvabili posti in bacheche lungo la navata e nell’abside. Il linguaggio di Villa è profondamente rinnovatore della lingua che, come dice Parmiggiani nel catalogo della mostra “... è stato certamente il poeta più radicale e – il miglior fabbro – che abbia avuto l’Italia del secondo Novecento. Sperimentando in ogni direzione, mescolando lingue morte, per lui vive, con lingue vive, per lui morte...”.

Intransigente verso i sistemi di potere, le caste come si direbbe oggi, che uccidono la libertà d’espressione e chi non si piega ad essi.

L'effetto che ha fatto a me vedere i quadri di quei maestri messi sugli altari è stato enormemente stimolante e divertente. L'ho interpretato in vari modi, per esempio come una sorta di riappropriazione debita che dal disprezzo che hanno avuto ( e in alcuni casi ancora hanno) quei pittori,  li ha portati agli onori degli altari. Di contro, potrebbe darsi che questo allestimento celebri anche la morte di tutta un'epoca. E allora l'averli messi negli altari è come una celebrazione sacra e quasi di allontanamento dalla realtà terrena. Ci potrebbe essere anche un'altra interpretazione: è l'arte che davvero può comunicare qualcosa, e l'altare diventa da luogo cui l'orante si rivolge a una qualche divinità lontana e muta a luogo in cui avviene un vero scambio, un vero e proprio innalzamento.

In mostra ci sono, tra le molte altre, alcune opere di Alberto Burri, fra cui il libro d’artista “diciassette variazioni proposte per una pura ideologia fonetica”, Origine - Roma -1955 e i tre libri d’artista che Villa fece con Nuvolo, rispettivamente “cinque invenzioni di Nuvolo e un poema di Emilio Villa”, La Palma - Roma 1954, “3 ideologie da Piazza del Popolo senza l’imprimatur” con tre tavole originali di Nuvolo, Roma 1958, “exercitation de tire en io/cibles. Formules pour les ingénu eux rayons des foeutiches engendrés par Nuvolo”, Roma 1971.

Due tifernati eccellenti che hanno avuto il loro primo riconoscimento dai poeti.

Si possono ammirare inoltre opere di Duchamp, Manzoni, Capogrossi, Pollock, Rothko e altri.

Bruno Corà, nel suo intensissimo contributo al catalogo, dice che l’unica possibilità di incontrare Villa, il clandestino, come lo ha anche definito Aldo Tagliaferri nella sua biografia, era presso gli studi di Nuvolo, di Burri o di pochi altri artisti gravitanti attorno a Piazza del Popolo a Roma negli anni ’50 e ‘60. Spesso dormiva per terra in questi studi, o sotto i ponti di Roma, coperto di giornali, come cuscino la sua valigia di cartone contenente i suoi scritti. Celebre la frase che usava nel coricarsi, quando, sistemata la valigia come cuscino diceva “io alle mie comodità non ci rinuncio!”. A questo proposito ricordo il mio omaggio nel giugno del 2006, dove, sotto il ponte del Tevere a Città di Castello, ho compiuto un’azione documentata da una successiva mostra e da un catalogo, incentrato sulla figura di Emilio Villa e su questa frase, il tutto con dedica a Nuvolo. Da una poesia esposta nella sua forma calligrafica originale, Villa, si pone e ci pone delle riflessioni molto profonde: cosa resterà della parola quando tutto il tempo sarà consumato? Se la materia di cui sono fatte le parole è destinata a corrompersi in qualche maniera, prima o dopo, che cosa esse sono? Mi auguro che dopo questa mostra segua una riscoperta critica più ampia e vengano ristampate le sue opere.

Nell’invito alla mostra è riportato questo scritto di Emilio Villa: “ è da considerare imminente ormai l’eclissi e la sparizione dell’arte contemporanea in quanto tecnica, spontaneità, linguaggio e natura dell’anima. La società colta, la cultura ufficiale, il gusto corrente hanno assorbito la grande ribellione e le mosse profonde dell’arte. Assorbito, inghiottito, mandato giù: e, come conseguenza stanno neutralizzando l’arte, accettandola attraverso i suoi prodotti contraffatti, mimetizzati, e distruggendone dunque la validità come coerenza, ragione, mistero, segretezza, splendore; e la verità stessa, lo scandaletto oggi qui dalle nostre parti, e nemmeno solo qui, è a portata di mano di qualsiasi menestrello, scimmia o pappagallo che si ponga a mezzoservizio del gusto corrente: i balbettanti epigoni si vestono tutti da ribelli, da funeribondi, sfogano gli istinti servili, racimolano formule e cifre, e con tali mezzi conquistano gallerie, biennali, contratti, premi, medaglie, giornali, salotti, caffè, copertine, musei.(...) Così noi richiamiamo i veri a sottrarsi dalla baraonda, a rientrare nell’eremo della propria oscura e serena vitalità, nel grembo della interiore misura del signum, del verbum, e preparare lì, e soltanto lì, i maggiori elaborati di una preziosa, rara immagine del perenne. Perché una situazione siffatta, al punto critico di rischio, minaccia di trarre in inganno anche gli artisti veri: il pubblico dominio, l’ordinaria amministrazione, la conservazione, con l’aiuto degli epigoni e dei plagiatori virulenti e velenosi, sono mostri pronti a divorare e far sparire ogni ideologia vitale.”

Nient’altro da aggiungere.

Marco Baldicchi

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