LA VICENDA DI UN AFFRESCO DI GALILEO CHINI A CITTA' DI CASTELLO (articolo apparso nel n° 4 a II di Pagine Altotiberine , 1998)

 

Uno dei palazzi più belli e interessanti di Città di Castello è certo quello dell'ex-Monte di Pietà, al civico 4 di Via Marconi. La storia di questa istituzione cittadina ha principio con la bolla di Pio IV del 14 agosto 1563. Detto pontefice - al secolo Giovanni Angelo de' Medici, milanese eletto al pontificato il 26 dicembre 1559 - era stato governatore di Città di Castello sotto Paolo III con la qualifica di commissario alle milizie pontificie, allora comandate da Alessandro Vitelli. La bolla lasciava ampia libertà di gestione del Monte, equiparandolo per privilegi a quelli di Roma e Ancona. il palazzo subì alterne vicende nel corso dei secoli; fu inoltre sede di varie organizzazioni cittadine e operaie, fino a diventare sede della Cassa di Risparmio. La Società di Mutua Beneficenza fece apporre sulla facciata del palazzo un monumento - inaugurato il 14 luglio 1901 - a memoria dei suoi benefattori. La parte in terracotta invetriata a imitazione delle Robbiane è opera della ditta Cantagalli di Firenze, mentre quella ad affresco è opera del maestro del Liberty italiano Galileo Chini (Firenze 1873-1956). E' quest'ultima ad aver ricevuto più danni, sia dal tempo che dagli uomini. Vale comunque la pena di salvare ciò che resta,anche perché traccia del passaggio sulla nostra terra di un artista, il quale, oltre a quest'opera, ha lavorato anche nella chiesa del cimitero, sull'arcata e sul timpano. Cominciai a interessarmi al recupero del dipinto quando era ancora integro, nel 1987; prima di allora vi furono un'interpellanza in consiglio comunale del prof. Angelo Zigrino e interventi di Luigi Amadei e del pittore Piero Pellegrini. Ma tutti questi sforzi non servirono a nulla. Ebbi anche un colloquio con l'allora direttore della Cassa di Risparmio di Città di Castello, ma senza esito. Lo scorso anno, a nome della Libera Associazione Artistica "Mani d'opera", riproposi la questione al sindaco Adolfo Orsini e all'assessore alla cultura Fernanda Cecchini; questa volta ci è stato assicurato il finanziamento della spesa dei lavori che, sotto la tutela della Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici, saranno eseguiti nella prossima primavera da Giuliano Guerri. Questi, per agevolare il restauro, ha gravato il preventivo di spesa del costo dei soli materiali, senza oneri aggiuntivi. Un nuovo disegno di legge in questi giorni apre le casse dello Stato al recupero di beni artistici. Spero che se ne sappia approfittare per recuperare quello che giorno dopo giorno scompare sotto i nostri occhi; non è solo storia, ma anche identità di un popolo e fonte di lavoro per i giovani.

 

Note

 

-La parte in bronzo e pietra è di Poerio Castellucci di Arezzo, zio di Galileo Chini.

 

-In totale si conoscono cinque lavori di Chini oltre questo e tutti al cimitero. Uno però è una copia, in quanto l’originale è andato distrutto a causa dell’apertura del passaggio per accedere al famedio, (a sinistra guardando la chiesa). Gli altri, tranne uno nella cappella della famiglia Castori, sono tutti in grave stato di degrado e rischiano presto di sparire.

 

-In realtà durante il restauro si è appurato che non si tratta di un vero affresco, ma di una pittura murale. Questa tecnica è estremamente delicata ed è anche la causa del degrado.

 

-La prima sede della Cassa di Risparmio cittadina fu proprio nel palazzo di Via Marconi, per questo mi rivolsi al direttore di questa, ma non c’era allora la sensibilità per capire.

 

- A margine segnalo che la comunità ebraica cittadina chiese già alla metà del 1400 di aprire un banco dei pegni pubblico, ma tale richiesta non fu accolta. Dopo il Sacco di Roma del 1527 a tutte le città dello Stato Pontificio venne imposto un contributo per la ricostruzione e Città di Castello diede il suo con l’aggiunta di un generoso versamento da parte della sinagoga. La comunità ebraica di Città di Castello era la terza per importanza dopo quella di Roma e Ancona, si veda A. Toaff, Il vino e la carne, ed. Il Mulino 1989 e anche in questo sito: Obadia Jarè, da Bertinoro a Castello.

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