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SALVARE UN TESORO     La storia delle testimonianze d'arte presenti a Città di Castello riserva a volte delle sorprese che mettono in luce le migliori qualità di persone che hanno veramente amato questa città e la sua tradizione. Tutti conoscono l'episodio del salvataggio della pala della Madonna delle Grazie di Giovanni da Piamonte, tavola posta nella cappella di sinistra dell’omonima chiesa, ad opera di un ignoto concittadino che si offrì di comperarla ai soldati francesi che stavano per bruciarla alla fine del '700, dopo la fatidica occupazione della nostra città iniziata il 12 maggio 1798 che tanti danni fece al patrimonio storico artistico. Uno per tutti: la depredazione dello Sposalizio di Raffaello che, alla luce di recenti studi, è emerso che non fu 'donato' dalla cittadinanza, ma estorto con la minaccia di bruciare la città se non fosse stato dato agli occupanti, nella persona del famoso Generale Lechi. Voglio qui parlare di altri due episodi certi che riguardano il Tesoro del Duomo. E di uno non del tutto certo. Nel settembre del 1975 il Metronotte Leopoldo Capaccioni insospettitosi dopo che da circa un mese vedeva un'automobile targata Padova aggirarsi e parcheggiare in vari punti nei pressi della zona del Campanile Rotondo del Duomo, in ore notturne, segnalò la cosa a chi di dovere, ma non venne preso in considerazione, adducendo il fatto a certe 'situazioni promiscue' che sarebbero incorse nella zona. Ma lui non convinto di ciò continuò a tenere d'occhio l'auto, finché una notte la notò parcheggiata nei pressi del Ponte del Tevere mentre un'altra era ferma sotto il Campanile Rotondo. Quest'ultima si rivelò poi rubata e sarebbe dovuta servire come primo mezzo su cui trasportare la refurtiva fino a quell'altra. Capaccioni l'aveva intuito. Alcuni abitanti delle abitazioni vicine, in particolare una signora e suo figlio, sentendo del rumore provenire dal Duomo a quell'ora notturna, avvisarono il metronotte e chiamarono i Carabinieri. Il metronette vide una finestra corrispondente alla Sacrestia cui era stata tolta l'inferriata e con gli infissi divelti. Fece così notare la sua presenza e si mise a creare quanta più difficoltà possibile alle persone che erano penetrate nella Sacrestia. Un ladro fu preso subito, altri due scapparono, ma grazie al numero di targa che Capaccioni aveva annotato furono successivamente arrestati a Padova. I sacchi contenenti il Pastorale di San Florido, i piatti del Tesoro del Duomo e tutti gli altri preziosi, vennero subito recuperati. Il Pastorale nella concitazione si ruppe e fu restaurato da un orafo tifernate, Sergio Bartoccioni. Ai protagonisti del salvataggio venne data una medaglia-ricordo dal Vescovo e ne parlarono le cronache locali. In un’altra circostanza raccontatami da Don Giancarlo Lepri, il compianto Don Giuseppe Briziarelli, chiamato nottetempo per una Estrema Unzione, si recò in sacrestia per prelevare l'Olio Santo. Essendo pratico dei locali non si premurò di accendere la luce, sentì allora dei rumori e vide nella penombra le sagome di due persone. Mantenendo il sangue freddo, fece finta di non essersi accorto di niente e si diresse verso il fondo dei locali per prendere l’occorrente. Sentì quindi i passi di corsa dei due soggetti dirigersi verso la porta di uscita e fuggire via. Don Giuseppe raccontò a Don Giancarlo la grande paura che ebbe in quella circostanza con parole colorite. Il racconto che segue mi fu fatto dallo stesso Don Giuseppe molti anni fa. Recentemente ho cercato dei riscontri sentendo le poche persone che sono ancora in vita, ma non ho avuto conferme. Se non parziali. Lo pubblico così, con beneficio d’inventario. Premessa. Nel quadro delle disposizioni date da Hitler con lo scopo di "salvaguardare" le opere d'arte dei territori occupati venne istituito il Kunstschutz, apposito ufficio che schedava e requisiva tutti quei dipinti, statue, tesori e armi antiche che sarebbero stati mandati in parte a Linz al costituendo museo che il Führer aveva fatto progettare dal suo architetto Albert Speer e in parte nelle abitazioni dei gerarchi e sodali del regime nazista. Veniva appeso sugli edifici contenenti opere d’arte di rilievo un piccolo manifesto che dichiarava quel sito sotto la “tutela” del Kunstshutz. Così fu ad esempio per la nostra Pinacoteca comunale. Il manifesto è conservato negli archivi comunali. Don Giuseppe, allora giovane prete, amante e conoscitore d'arte, prestava servizio in Duomo; durante il passaggio del Fronte, venuto a sapere delle intenzioni dei tedeschi, decise di nascondere quanto di più prezioso fosse conservato nella cattedrale. Già, ma come riuscirci? Quanti hanno visitato il Campanile cilindrico, avranno notato che l’ingresso a tale struttura avviene dal ponticello di raccordo posto a una decina di metri d’altezza, dopo essere passati per una scala a chiocciola sita di fronte alla torre. Una volta entrati nel campanile, per salire si prende la scala a destra, ma a sinistra c’è una rampa che scende di qualche metro fino al solaio sottostante. Prima dell’ultimo restauro, risalente all'anno 2000, dalla porta di ingresso invece si poteva solo salire, e tra quest’ultima e il solaio sottostante c’era un pavimento di assi di legno, praticamente un'intercapedine della cui esistenza pochi erano al corrente. Fu così che Don Giuseppe prese l'iniziativa di nascondervi tutti gli oggetti preziosi del Tesoro del Duomo tra cui il Paliotto, il Tesoro di Canoscio e tutto quanto fosse possibile. Mi raccontò che quando arrivarono i soldati tedeschi e gli chiesero che cosa ci fosse di importante e prezioso nel Duomo, lui rispose che non c'era nulla e guardassero pure ovunque. Non trovando nulla da "salvaguardare", i soldati desistirono. Posso solo supporre che, dati i tempi che correvano con lo sfollamento degli abitanti dovuto al passaggio del fronte, Don Giuseppe non abbia comunicato a nessuno questa sua azione, anche per non mettere a rischio la vita di alcuno, rimettendo tutto a posto passato il pericolo. Come ho detto non ho trovato riscontri a questo episodio, però non c'è ragione alcuna che Don Giuseppe mi abbia raccontato una storia d'invenzione, in più è certo che nella suddetta intercapedine vennero nascoste, durante quei giorni bui, anche altre cose di una famiglia di commercianti di Via Marconi e ciò avvalora l'ipotesi della beffa ai tedeschi e della grande idea del Don... quasi quasi,uno scherzo da prete! Marco Baldicchi _______________________________________________________________________________________ p.s. a margine di questo articolo, segnalo di essere venuto a conoscenza dal maestro orafo Fabio Pannacci che, quando si apprestò a fare la copia del Paliotto del Tesoro del Duomo, fece notare al parroco che i chiodi con cui le varie parti erano fissate sul supporto ligneo, erano di almeno due epoche distinte. La prima antica e coeva al manufatto, mentre l'altra ottocentesca. Don Giuseppe gli disse che il paliotto fu smontato, messo in un sacco prima dell'arrivo delle truppe napoleoniche e gettato in un pozzo. Successivamente, quando il pericolo era scampato fu ripescato ma venne rimontato unendo a due a due le formelle con le varie scene, in modo da poter usare l'argento delle cornici che dividevano quelle per altri scopi (si pensi al terribile periodo di carestia che segue una invasione). Parte dei chiodi doveva essere andata perduta nel pozzo, perciò ne vennero usati altri nel rimontarlo.

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