Città di Castello, 21 agosto ’08
 
All’Assessore alla partecipazione del Comune di Città di Castello dr.ssa Andreina Ciubini
E p.c. al Presidente dell’Associazione Storica dell’Alta Valle del Tevere prof. Ermanno Bianconi
E p.c. al Sindaco di Città di Castello
Dr,ssa Fernanda Cecchini
E p.c. all’assessore alla Cultura dr.ssa Rossella Cestini
E p.c. agli organi di informazione.
 
Oggetto: consulta della cultura.
 
Gent.mo Assessore,
nel ringraziarLa per il cortese invito Le comunico di declinare la mia personale partecipazione alla consulta.
Non condivido l’impostazione “generalista” che la consulta ha preso.
Ritengo che i problemi della cultura a Città di Castello siano da riscontrare proprio nella scarsa e sporadica attenzione rivoltale negli ultimi 25 anni.
Ho avuto modo di interessarmi al mondo culturale tifernate, in special modo mi riferisco all’arte figurativa, teatrale, alle associazioni, alla storia ed altro, dai primissimi anni ’80 ad oggi.
Il problema principale di tutte le amministrazioni è stato sempre quello di non riuscire a vedere la cultura come una grande risorsa. Se non a parole. Al contrario è sempre stata vista come una cornice da usare per determinate occasioni di rappresentanza, senza una vera programmazione che avesse chiari obiettivi da raggiungere e da valorizzare.
E’ molto lungo l’elenco che posso fare, ma in questa occasione mi limito a pochi esempi per non rubarLe il tempo prezioso che gentilmente mi sta dedicando.
E’ da 41 anni che esiste il Festival delle Nazioni in questa città, e nonostante ciò non è stato capace di creare un pubblico e un senso di appartenenza nei confronti della città. Il motivo essenziale, a mio modesto avviso, è che non viene fatto niente nelle scuole per spiegare che cos’è un concerto o una sinfonia o per fare dei concerti didattici per le scuole, con i maestri che spiegano queste cose agli alunni e quanto può essere viva la musica. Penso anche che sarebbe utile e democratico, durante il festival, porre un maxi schermo in una qualunque delle nostre piazze o parchi o auditorium, dove la gente che non può permettersi il costo del biglietto possa lo stesso assistere ai concerti, gratuitamente. Il problema ritengo sia anche nella scelta del periodo storico di svolgimento del festival stesso che lo rende solo uno dei tanti appuntamenti estivi che popolano l’Italia vacanziera.
La Fiera delle Utopie Concrete non ha visto alcuna ricaduta delle tante idee espresse in tanti anni in tema di riciclaggio dei rifiuti o di uso di energie alternative nella città. Non sono diminuite le bollette delle famiglie con qualche utile applicazione di quelle stesse proposte fatte dalla Fiera. Anche questo è uno dei motivi per cui la gente comune non la sente come propria.
Con questo non voglio dire che non si debba più fare, ma solo che occorrerebbe trovare il modo di applicare qualcuna di quelle idee ed averne un qualche ritorno.
L’auditorium di Sant’Antonio così com’è non serve a niente. I camerini non ci sono e il palcoscenico è stato realizzato dalla parte più stretta, impedendo la qualsivoglia realizzazione di eventi che non vadano al di là di pochi protagonisti in scena.
Il grande Quadrilatero di palazzo Bufalini non è stato pensato in modo modulare, così da poterlo adattare ad eventi di varie dimensioni, ma sia l’illuminazione che i colori delle pareti sono poco adattabili per mostre o eventi di arte visiva. L’accesso alle persone disabili è impossibile non essendo mai entrato in funzione l’ascensore. Per ultimo, la sua gestione è stata ridata a coloro i quali già l’avevano in precedenza che si sono visti così riconsegnare uno spazio bellissimo per le loro amene e rispettabili attività, ma che raramente si incrociano con la cultura cittadina.
La Pinacoteca Comunale prima della intitolata “riapertura” era un museo unico nel suo genere, dove l’impostazione ottocentesca voluta da Elia Volpi che, con l’occhio da grande antiquario e romantico, l’aveva creata come un erudito dell’ottocento immaginava una residenza del Rinascimento. Ora, dopo l’intervento dei cosiddetti “esperti” venuti da fuori, è diventata un museo come mille altri. Dove le opere sono messe in ordine cronologico e dove molti arredi e opere sono stati tolti perché non rispettavano i criteri di questi “esperti”. Unica eccezione l’esposizione di una teca con un presepe che ha scavalcato i veti posti per l’allestimento. Manca anche qui una attenzione amorevole alla cura di questa perla, che è vista solo come contenitore e dove l’attività didattica, meritevole e pregevole che vi viene svolta, è relegata in locali non a norma. A quando l’esposizione della raccolta civica, e dei reperti protostorici di Riosecco e di quelli romani già facenti parte della Pinacoteca, magari nella limonaia restaurata, così da creare un continuum con il resto delle collezioni? Cosa c’entra la raccolta malacologica in questo contesto? Perché si è rifiutata la proposta della Sovrintendenza di Firenze quando ci è stata offerta la possibilità di riprenderci i reperti etruschi di Fabbrecce? Di chi è la responsabilità? Un’altra occasione la si è persa con la decisione di creare un falso giardino all’italiana, sottraendo uno spazio che poteva essere usato per mostre di sculture all’aperto o magari creando un giardino nuovo, moderno. Magari affidandolo ad un architetto di giardini contemporaneo. I Vitelli facevano tutte cose modernissime per i tempi loro.
L’auditorium di Santa Cecilia è una cattedrale nel deserto. Che cosa ci vogliamo fare?
Manca appunto, torno a ripetermi, una programmazione e delle idee.
Perché non coinvolgere nella gestione e nella programmazione le associazioni giovanili e culturali?
Spero che la consulta sia ascoltata in maniera preventiva, e non come già accaduto in passato, come organo ratificatore di decisioni già prese a monte.
Per questo ritengo non sia possibile una impostazione generalista, perché per determinati argomenti così delicati come quelli concernenti la cultura occorrono delle persone che conoscano i problemi di cui si tratta. Magari consultando specialisti esterni alla consulta stessa quando lo si ritenga necessario.
Non voglio dilungarmi e tediarLa, anche se molte altre sarebbero le cose da dire e tutte molto importanti, come per esempio parlare del Centro di Documentazione per l’Arte Contemporanea, o del Centro di Studi e Cultura Ebraica, o lo stato di scarsa attenzione riservata alla Tela Umbra o lo stravolgimento del parco della Villa Franchetti alla Montesca.
Non capisco poi perché solo i residenti nella cerchia delle mura hanno partecipare alla consulta del centro storico. Chi lo dice che anche altri non siano interessati al cuore della nostra città?
Per concludere vedo un grosso rischio all’orizzonte, fondamentale per il futuro: quello che questa città perda il suo volto.
Si dice in vari periodi dell’anno “la città del Cavallo”, o “la città del libro”, o “la capitale del tartufo”, ecc... ecc...
Occorre riflettere seriamente su qual’è il volto della città. Parliamone con tutti i soggetti sensibili a questi argomenti ed iniziamo una discussione, questa sì, aperta a tutti.
La ringrazio della Sua attenzione e Le auguro buon lavoro,
 

Marco Baldicchi

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